Il compianto rinascimentale

La pieve di Palazzo Pignano conserva una meravigliosa opera di grande valore spirituale e artistico: Il Compianto sul Cristo morto di Agostino de’ Fondulis (metà secolo XV - 1522 circa), il grande ceramista cremasco del Rinascimento. È composto secondo lo schema codificato del Cristo disteso e dei dolenti che lo circondano in atteggiamenti di compartecipato dolore.
Otto in complesso le statue in terracotta a tuttotondo, di grandezza naturale: il Cristo morto, steso a terra con il capo poggiato su due cuscini, Maria di Cleofa e Maria di Salome che reggono la Madonna mentre sviene, Maria Maddalena a destra con le braccia spalancate in un urlo di dolore, Giovanni Evangelista a sinistra con il volto rivolto al cielo e Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo inginocchiati al capo e ai piedi di Gesù reggenti gli strumenti della passione. La policromia originaria è oggi totalmente scomparsa. Il Compianto è collocato nella prima campata della navata sinistra protetto da una cancellata. È stato oggetto di un restauro nel 1928 e successivamente nel 1998.
L’origine delle rappresentazioni di “Compianti” come quello che ammiriamo a Palazzo, si trova nell’iconografia bizantina e nella letteratura mistica del XIII e XIV secolo (ad esempio l’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis) che, narrando con minuzia di particolari commoventi episodi della vita di Gesù, favorivano una devozione basata sulla partecipazione affettiva dei fedeli. Due le forme iconografiche di questo filone d’arte popolare: i “Lamenti di Maria” che concentravano l’attenzione sulla sola Madonna e, appunto, i “Compianti” che affollavano la scena anche con altre figure.
Quest’ultimi assumono diverse forme espressive, a seconda dei tempi e degli autori: dalla forte intensità di certe opere lignee trecentesche e quattrocentesche di area tedesca, al patetismo austero e malinconico di quelle fiamminghe. Un altro compianto presente nel Cremasco, quello ligneo del Marzale di Ripalta Vecchia, ad esempio, si pone nel filone che predilige una sofferenza senza sfoghi, ma interiorizzata nella meditazione personale.(17)
Nella seconda metà del Quattrocento, nell’Italia settentrionale, il linguaggio è di un espressionismo caricato e impulsivo, come quello trecentesco. Si veda in particolare i numerosi “compianti” di Guido Mazzoni (1450-1518) caratterizzati da una tensione spirituale popolare e da un verismo tragico.
Il Compianto del De’ Fondulis che ammiriamo a Palazzo rivela invece “un evidente processo di classicizzazione delle forme e di una ricomposizione della tensione drammatica.”(18) “L’indubbia compostezza formale, inedita nell’opera di Agostino, deve essere letta come l’espressione di una maturazione sugli sviluppi classicisti attuati in Lombardia da Cristoforo Romano e da Benedetto Briosco.”(19) Ma la ricerca psicologica nei personaggi si rifà direttamente a Leonardo. Il grande genio venne a Milano nel 1482 e la sua influenza sull’arte lombarda fu grandissima. Nel nostro caso ricordiamo gli studi sulla fisionomica nei quali scriveva: “Farai le figure in tale atto il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile”; secondo Leonardo – che Agostino frequentò – i moti dell’animo condizionano la vita del corpo e le fattezze tradiscono quel che c’è nel profondo. Era un salto di qualità anche per il ceramista cremasco nei confronti dei suoi precedenti lavori (soprattutto del Compianto di San Satiro). Modellò quindi quello di Palazzo con un’impostazione mentale rinnovata, facendo dei corpi dei personaggi la finestra dell’anima.(20)
In Lombardia la tradizione dei “compianti” venne largamente promossa, nell’ultimo ventennio del ‘400, dall’aggregazione di laici e religiosi detta degli Amadeiti, ramo del movimento francescano che predicava un’intensa ricerca di spiritualità con la necessità della sofferenza e della povertà. Il fondatore dell’ordine fu Amedeo Menez de Sylva, portoghese, in stretto rapporto con i duchi di Milano (Francesco Sforza e Ludovico), con Luigi XI e con il papa Sisto IV, di cui fu confessore. Fondò diversi monasteri, tra cui uno a Milano (frequentato dal De’ Fondulis, ma anche dal Bramante) e a Santa Maria in Bressanoro di Castelleone. Morì a Milano nel 1482.
La predicazione degli Amadeiti promosse con grande successo le “sacre rappresentazioni” della passione che i gruppi scultorei e i dipinti traducevano con immagini fortemente drammatiche. Si diffusero largamente in Piemonte, in Lombardia e in tutta la pianura Padana; il loro scopo era didascalico: non solo far meditare i fedeli sulla Passione del Cristo, ma quasi far loro rivivere l’evento, mediante una forte partecipazione emotiva.
Le coinvolgenti immagini del Cristo morto e dei personaggi che lo “compiangevano”, esprimendo coi loro volti e i loro gesti i diversi atteggiamenti della sofferenza, commuovevano lo spettatore, toccavano le corde del suo cuore e suscitavano in lui reazioni spirituali e mistiche che si identificavano con quelle richiamate dalle immagini sacre.
Ponendoci di fronte a questa straordinaria testimonianza di fede e di arte tornano alla mente le appassionate rime di Jacopone da Todi, anch’egli traduttore in poesia della rappresentazioni sacre medievali. In particolare il Pianto de la Madonna, il più bel dramma sacro di tutte le letterature:
“Figlio, l’alma t’è uscita, figlio de la smarrita,
figlio de la sparita, figlio attossecato!
Figlio bianco e vermiglio, figlio senza simiglio,
figlio a chi m’appiglio? Figlio, pur m’hai lassato!
Figlio bianco e bionno, figlio volto ioconno,
figlio, perché t’ha el monno, figlio, cusì sprezato?
Figlio, dolze e placente, figlio de la dolente,
figlio, hatte la gente malamente trattato!
Ioanne, figlio novello, mort’è lo tuo fratello:
ora sento ‘l coltello che fo profitizato,
che moga figlio e mate ‘n dura morte afferrate:
trovasse abbraccecate mate e figlio a un cruciato.”
Ammirando il Compianto con un pizzico di quell’antica devozione medievale, contempliamo la serena compostezza del Cristo morto, modellato col vigore di una scultura di Donatello, immerso nel “sonno” che prelude alla gioia della Risurrezione: “Il Re dorme – dice un’antica omelia del sabato santo(21) – la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne s’è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. Certo egli va a cercare il primo padre [Adamo], come la pecorella smarrita (...) e presolo per mano lo scosse dicendo: Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio che per te sono diventato tuo figlio. (...) Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi (...), guarda sulla mia guancia gli schiaffi (...), guarda sul mio dorso la flagellazione (...), guarda le mie mani inchiodate al legno (...). Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato (...). Il mio sonno ti libererà dal sonno dell’inferno.” Parole rivolte anche al credente di oggi.
Contempliamo nel nostro Compianto il dolore infinito di una Madre anch’essa “trafitta”, l’appassionata partecipazione della Maddalena dalle braccia tese in un urlo di dolore, la mistica sofferenza di Giovanni e la compassata partecipazione degli altri personaggi.
Il Compianto di Palazzo resta un unicum nel nostro territorio e la testimonianza di una fede dei padri vera e forte che nell’arte trovava sublime espressione.