I capitelli del mille e i simboli del cristo Nel Medioevo la chiesa romanica era un libro aperto non solo dal punto di vista architettonico. Contribuivano ad arricchirla di significati allegorici e spirituali opere di scultura e cicli di affreschi. Per quanto riguarda la scultura, il credente di oggi resta sconcertato e affascinato nell’ammirare la folla di immagini che popola le più celebri chiese romaniche (la Borgogna ne è il cuore). Schiere si scalpellini raffiguravano scene bibliche, personaggi, vite di santi, misteri liturgici, ma spesso anche immagini enigmatiche (animali, piante, mostri, disegni geometrici, oggetti, motivi astratti, ecc.) che nascondevano e nello stesso tempo svelavano il mistero: una sorta di retaggio della “teologia dell’arcano” derivata dai primi secoli della Chiesa, per cui solo agli “iniziati”, cioè ai battezzati, era concesso vedere, capire e quindi partecipare al mistero: agli altri era escluso. Spesso si vedeva raffigurata simbolicamente anche l’umanità e la vita quotidiana (persone, arti, mestieri, animali, zodiaci, ecc.) che venivano a costituire il “sacrificio vivente, gradito a Dio” significato dalla liturgia. Lo scalpellino medievale era perseguitato da una sorta di “horror vacui”, cioè dalla paura dello spazio vuoto e riempiva ogni angolo delle cornici architettoniche, degli archivolti, delle lunette, degli architravi, degli strombi, dei capitelli e persino – a volte – dei fusti delle colonne, con le sue figure, facendo in un certo senso vibrare le pareti. Si arriverà, più avanti, a un eccesso di immagini, a un sovraccarico quasi barocco che segnerà la decadenza romanica del XII secolo. Da questa selva di immagini il credente imparava a leggere la Parola e a capire i misteri che la comunità celebrava; era inoltre stimolato alla partecipazione liturgica e ammonito perché non peccasse (molti, ad esempio, i richiami a esseri demoniaci o al giudizio di Dio, soprattutto nelle pitture che spesso raffiguravano beati e dannati). Nel Cremasco non troviamo chiese romaniche che presentino in maniera cospicua questi cicli scultorei o pittorici. Nemmeno nella cattedrale romanico-gotica che si distingue per una certa qual sobrietà: del resto è – come vedremo – di derivazione cistercense. E i cistercensi, promotori della nuova architettura in Lombardia, rifiutavano nelle loro abbazie ogni decorazione. Ne abbiamo invece un timida testimonianza nella pieve di Palazzo che pur precede cronologicamente ed è comunque alla periferia dello sviluppo dell’arte romanica. Si tratta di nove pezzi in pietra arenaria, gli unici che possiamo ammirare nel nostro territorio. Sei sono i capitelli degli altrettanti pilastri che costituiscono la fila destra della navata centrale, databili all’XI secolo. Reggono l’imposta dell’arco senza la mediazione dell’abaco e alcuni conservano il collarino della base circolare che male si adatta agli attuali pilastri quadrati e richiama quelli originari, ovviamente tondi. In successione raffigurano: 1. la vite con un grappolo, 2. una palma, 3. l’agnello e la colomba, 4. due leoni avvinti con le code, 5. una vite con due grappoli, 6. vite e foglie lanceolate. Sono scolpiti in basso rilievo, mal conservati e leggibili per la maggior parte solo nella faccia rivolta alla navata centrale (escluso il terzo che mantiene la facciata est con una colomba e il quinto che ha l’identico motivo della vite e dei grappoli su tre lati). Alcuni conservano ancora i caulicoli, motivi vegetali (viticci in specie) che terminano a spirale negli angoli del capitello. Un settimo pezzo scultoreo è sulla lesena d’arco a nord della facciata interna e raffigura un girario di tralci; un ottavo, illeggibile, è sulla lesena addossata al lato sud del presbiterio e infine il nono pezzo è un frammento di pluteo riutilizzato nella facciata e posto sopra l’arco del portale: raffigura due pavoni ed altri animali, incorniciato su tre lati da un intreccio di vimini. Potrebbe essere appartenuto alla pieve precedente. In complesso si tratta di cinque soggetti arborei e quattro zoomorfi: tutti richiamano, con diversi significati allegorici, il Cristo morto e risorto (l’agnello, la colomba, i leoni, i pavoni, la palma) e l’Eucarestia, memoriale del suo sacrificio (vite e grappoli d’uva). Così il credente era (ed è ancora oggi) richiamato non solo all’evento storico della nostra salvezza, ma anche all’attualizzazione del mistero nella sacra liturgia.
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